Vjeran Pirši?, originario di Fiume, vive dal 1972 sull’isola di Veglia (Krk). È matematico per studi e informatico per vocazione: si occupa di software dal 1986 e attualmente si occupa di reti intelligenti (smart grids) e sistemi elettro-energetici. Lo abbiamo incontrato.
“Ci troviamo sull’isola di Veglia, la più settentrionale e la più grande delle isole croate con i suoi 408 km²”, racconta Pirši?. “Ventimila persone d’inverno, centoventimila d’estate. Dopo la guerra iniziammo a riflettere su quale isola volevamo. Alcuni volevano sviluppare l’isola seguendo l’esempio della costa montenegrina, quindi l’urbanizzazione, la devastazione… Queste persone ci sono ancora, dicono che è stupido che tra Baška e Punat non vi siano almeno cinque resort a cinque stelle.
Subito dopo la guerra eravamo solo in quattro a pensare allo sviluppo sostenibile. Seguimmo la Conferenza [Onu su ambiente e sviluppo] di Rio del 1992, cercando poi di metterci in contatto con l’ufficio Unesco di Venezia. Negli anni successivi arrivarono molti studenti da Venezia, due autobus ogni inverno, e nel periodo 1996-1999 elaborarono molti progetti. Nel 1999 il comune di Omišalj fu insignito del premio del Consiglio d’Europa per il comune più sostenibile del Mediterraneo. Fu un bel periodo, ma a un certo punto ci rendemmo conto di dover cambiare strategia”.
In che senso?
A quel tempo avevamo montagne di progetti, ma solo sulla carta, nulla di realizzato. La situazione cambiò intorno al 2000, quando fu presa la decisione politica di affrontare prima di tutto la questione della gestione dei rifiuti. Due anni più tardi fu commissionato uno studio, e il sistema fu implementato nel 2006. Oggi differenziamo oltre il 60% dei rifiuti, ma l’obiettivo è arrivare all’80%. Però anche il 60% è un ottimo risultato, considerando che la maggior parte dei turisti non fa la raccolta differenziata. Quelli che arrivano ad esempio da Lubiana fanno la differenziata, ma quelli di Zagabria o di Fiume non la fanno, non sono abituati a differenziare i rifiuti. Abbiamo dieci progetti in questo ambito, funzionano bene, siamo noti per la raccolta differenziata.
Quando si riferisce a “noi” a chi fa riferimento?
Mi riferisco all’intera comunità locale. A partire dal consiglio comunale e dal sindaco, ma anche il settore privato e gli attivisti della società civile; la comunità accademica ci ha sempre sostenuti (penso alle università di Zagabria, Fiume, Lubiana, Trieste…), e persino la Chiesa.
All’epoca in cui prese il via il primo progetto riguardante la raccolta differenziata ero consigliere comunale a Omišalj. Più di cento consiglieri votarono a favore della proposta di stanziare cinque milioni di euro per la realizzazione di un sistema in contrasto con la strategia nazionale, che a quel tempo era focalizzata sulla compattazione e l’incenerimento dei rifiuti. Praticamente i rifiuti venivano bruciati in inceneritori, e poi le ceneri venivano stoccate in vecchi giacimenti petroliferi vuoti. Quelle balle di rifiuti all’ingresso della città di Varaždin, che recentemente hanno portato alla caduta dell’amministrazione comunale, sono conseguenza di quel sistema. Noi eravamo da sempre favorevoli alla raccolta differenziata e contrari all’incenerimento.
Quando si è iniziato a ragionare sul tema dell’energia a Veglia?
Tutto ebbe inizio nel 2008, quando in Croazia fu avviato un dibattito su una nuova strategia energetica. A Zagabria venne presentata in pompa magna la proposta per una nuova strategia nazionale. Dopo la presentazione però ci rendemmo conto che ci prendevano in giro. Volevano cancellare la moratoria sulla costruzione di nuove centrali termoelettriche a carbone [moratoria approvata dal parlamento nel 2002, ndr], proponendo quindi una strategia incentrata sul passaggio – o meglio il ritorno – al carbone: che doveva essere necessariamente importato, perché la Croazia, a differenza ad esempio dalla Polonia, non dispone di grandi riserve di carbone. La strategia fu approvata dal parlamento nel settembre del 2009, prevedendo la costruzione di due nuove centrali termoelettriche, a Plomin e Plo?e.
Era tutta una messinscena. Decidemmo quindi, all’inizio del 2009, di fondare “Solarni klaster Hrvatske” [Il cluster solare della Croazia], un’associazione impegnata nella promozione dell’energia solare e verde, e nel maggio 2009 a Fiume fu installato il primo impianto fotovoltaico sul tetto del municipio; nel 2012 abbiamo fondato la cooperativa energetica “Otok Krk” . Andò tutto molto bene fino all’arrivo del ministro Igor Vrdoljak [ministro dell’Economia dal 2012 al 2015 e poi leader del Partito popolare croato, ndr]: lo stato insisteva sul carbone, quindi fummo costretti ad abbandonare entrambi i progetti che portavamo avanti in quel periodo.
La strategia focalizzata sul carbone fu poi abbandonata nel 2018, e lo stato iniziò nuovamente a finanziare progetti legati all’energia solare. Nel frattempo nel 2012 venimmo a conoscenza dei risultati di uno studio elaborato da [alcune aziende ed esperti] tedeschi su come rendere l’isola di Veglia sostenibile. Secondo questo studio, l’isola potrebbe soddisfare il 60% del proprio fabbisogno energetico col sole, il 30% col vento e il restante 10% con il biogas o qualcosa di simile. In questi modi potremmo produrre 150 GWh all’anno – quanto basta per la popolazione locale, ma anche per i turisti. Abbiamo inoltre iniziato a ragionare sul passaggio a veicoli elettrici: oggi il traffico, compresi i traghetti, è responsabile del 52% dell’inquinamento sull’isola. Su questo intendiamo concentrarci da qui al 2030.
La sua casa, qui a Omišalj, è del tutto autosufficiente dal punto di vista energetico. Ce la può descrivere?
Per prima cosa ho installato un impianto fotovoltaico. Ho calcolato che la casa consumava 8.000 kWh all’anno. Per coprire il fabbisogno ho acquistato un impianto da 6,8 kW spendendo circa 8000 euro. Il 60% della spesa mi è stato rimborsato a fondo perduto dal Fondo per la protezione dell’ambiente , sostenuto tra gli altri dal ministero regionale per lo Sviluppo e i Fondi europei . Poi ho acquistato delle batterie per l’accumulo, ricevendo nuovamente sostegno dal Fondo, e ho installato nuove finestre e un cappotto termico esterno dello spessore di 10 cm. Al sistema di riscaldamento centralizzato esistente – coi termosifoni – ho collegato una pompa di calore; ho preso un impianto smart grid ready, con cui risparmio il 60% per il riscaldamento.
Per una tipica casa dell’isola di Veglia l’intero investimento, compresa la riqualificazione delle facciate, va dai 50.000 ai 100.000 euro. Limitandosi invece agli interventi di efficientamento energetico [cappotto escluso, ndr] servono dai 30.000 ai 50.000 euro. Certo, non è facile avere quelle cifre, ma diventa possibile farlo muovendo un passo alla volta, grazie ai contributi del Fondo e ai risparmi che derivano dagli investimenti fatti.
Da quando ho l’impianto fotovoltaico non spendo più 1000 euro all’anno per l’elettricità, bensì 100 euro. Una casa normale arriva a consumare sui 5.000 kWh all’anno e a spendere sui 5.600 euro (dei quali solo 2.600 sono per l’energia consumata, il resto va per l’Iva, la rete, etc.). Se invece produci energia elettrica per l’autoconsumo, consumi il 30% in meno e il costo dell’energia è dimezzato.
Altra questione è la capacità di accumulare l’energia, non solo di produrla…
Ho acquistato delle batterie ad acqua salata, che sono facilmente riciclabili e, in combinazione con batterie classiche, possono sopportare 5000 cicli di carica-scarica, quindi durano più di quindici anni. Così accumulo il surplus di energia prodotta e poi lo utilizzo di notte, o eventualmente di giorno se proprio ne ho bisogno.
In Croazia esiste la borsa dell’energia elettrica (CROPEX ): il prezzo dell’energia varia e ha due picchi giornalieri. Accade ad esempio che alle 4 del mattino l’energia elettrica costi 50 euro, poi alle 7 superi i 200 euro, per poi scendere nel pomeriggio, raggiungendo di nuovo il picco alle 20. Quindi, durante la notte accumulo nelle mie batterie l’energia a basso costo, poi la vendo al mattino quando il prezzo sale. Di giorno invece riempio le batterie con l’energia prodotta dal mio fotovoltaico, per poi venderla alla sera quando il prezzo aumenta. In questo modo riesco a guadagnare circa 300-500 euro al mese.
Entro la fine di quest’anno avrò un impianto fotovoltaico da 15 kW, delle batterie con una capacità di accumulo di 30 kWh, due auto elettriche e due pompe di calore. A quel punto sarò davvero autosufficiente, superando anche la fase critica di dicembre, quando non c’è sole e le temperature scendono anche sotto lo zero.
I contributi erogati del Fondo sono ancora in vigore?
Il Fondo nazionale pubblica continuamente bandi di finanziamento a condizioni molto chiare. Per una casa normale il Fondo offre un rimborso del 40% per gli investimenti in efficientamento energetico, che sale al 60% per le isole e all’80% per le aree devastate durante la guerra.
Quante case sull’isola hanno oggi un impianto fotovoltaico?
Attualmente [dati di dicembre 2022, ndr] a Veglia ci sono 175 case individuali con piccoli impianti fotovoltaici, per la maggior parte installati grazie ai contributi del Fondo. Non tutte però dispongono di batterie di accumulo, quindi alcune producono energia per l’autoconsumo e l’eventuale energia in eccesso la consegnano alla rete. Nei villaggi minori molte abitazioni non sono collegate alla rete: oltre ai pannelli hanno le batterie. Ci auguriamo che entro la fine di quest’anno il numero delle case con impianti fotovoltaici raddoppi.
In questo contesto, qual è il valore dell’aspetto comunitario?
L’obiettivo è quello di collegare tutte le case che hanno il fotovoltaico a una rete intelligente, creando così una comunità energetica, come viene auspicato anche dall’UE. Alla fine la maggior parte delle case dovrebbe avere un impianto da 10-30 kW a seconda delle dimensioni dell’edificio, alcune avranno anche le batterie per l’accumulo, la maggior parte delle famiglie avrà auto elettriche e una pompa di calore intelligente. Puntiamo anche a sviluppare un software che ci permetta di ridurre ulteriormente il prezzo e il consumo di energia.
Anche se ormai potrei pure scollegarmi dalla rete, per me è sempre meglio collaborare. Penso ad una collaborazione a due livelli. Primo, sarebbe opportuno avere dei grandi impianti fotovoltaici comunali: al momento io produco energia al prezzo di 42 euro per MWh, ma i grandi impianti possono produrre a 25 euro per MWh. Secondo, serve la comunità energetica.
Poter contare su una comunità energetica significa, ad esempio, che se una scuola d’estate produce molta energia solare e non la consuma – essendo chiusa per vacanze – può cedere quell’energia a un albergo. Al contrario, in inverno potrebbe essere l’albergo che, trovandosi in bassa stagione, cede energia alla scuola. Un altro esempio: le case di villeggiatura usate solo nei finesettimana possono cedere a una fabbrica o ai residenti stabili l’energia che producono dal lunedì al venerdì. L’idea di fondo è quella di impegnarsi affinché gli abitanti dell’isola, le persone comuni, riescano ad avere, ciascuno nella propria casa, un sistema che porti all’autosufficienza energetica.
Quanto è vicina Veglia all’autonomia energetica?
Il progetto della comunità energetica è avviato da tempo: l’obiettivo ultimo è quello di installare 1000 piccoli impianti fotovoltaici individuali sull’isola, più due grandi impianti (ed eventualmente 100 di medie dimensioni), così che possiamo produrre una quantità di energia sufficiente per l’intera isola – compresi i mezzi di trasporto, quindi le auto e i traghetti elettrici. I cittadini avranno accesso all’energia elettrica a un prezzo molto inferiore a quello attuale, e in estate, quando produrremo energia in eccesso, la potremo vendere.
Con uno degli impianti di Veglia siamo già a buon punto. L’idea è di costruire un grande impianto fotovoltaico da 10 MW su un altopiano che sovrasta la città di Baška. Questo progetto rischiava di essere venduto a qualche grande azienda, ma siamo riusciti a convincere il sindaco e il consiglio comunale a realizzare l’impianto autonomamente: nel 2019 è stata fondata l’azienda Otok Krk Energija , di cui il comune di Baška è proprietario al 100%. Nell’elaborazione del progetto il comune ha investito i propri soldi e alcuni fondi europei; lo stato ci ha concesso un terreno di 15 ettari in uso gratuito per venticinque anni. Puntiamo a realizzare il progetto in due fasi (5 MW + 5 MW), finanziando la prima fase con un prestito per poi coinvolgere un azionariato diffuso attraverso una cooperativa energetica.
La contea aveva inserito nel piano regolatore cinque grandi impianti fotovoltaici da 10 MW, uno su ciascuna isola e uno sulla terraferma. Anche gli impianti sulle isole di Arbe e Lussino sono già in fase di realizzazione; a Cherso hanno assegnato il progetto alla HEP, mentre sulla terraferma i lavori non sono ancora stati avviati.
Restano però alcuni impedimenti burocratici…
Nel recepimento della Direttiva UE RED II la Croazia ha fatto diversi errori. Primo, ha previsto che una comunità energetica debba essere limitata al territorio di un comune, quindi non può estendersi su un’intera isola. Secondo, che possa essere collegata solo a una sottostazione di bassa tensione. E terzo, che debba essere un ente no profit. Con l’aiuto di alcuni giuristi, abbiamo proposto una serie di modifiche alla legge , chiedendo allo stato di rimediare agli errori fatti – che fanno sì che, ad esempio, in Grecia oggi esistano oltre 600 comunità energetiche mentre in Croazia non ce n’è nessuna.
Qual è il valore delle comunità energetiche?
Sono il motore di una possibile transizione energetica che dovrebbe significare: decarbonizzazione, digitalizzazione (grazie alla rete intelligente), decentramento (tanti piccoli prosumer) e democratizzazione. Questa è una lotta tra grandi aziende e noi piccoli semplici cittadini. L’Unione europea è nata come una comunità del carbone e dell’acciaio, giusto? Se anche noi [i paesi ex jugoslavi, ndr] riuscissimo a collaborare di più nel settore delle energie rinnovabili, forse non combatteremmo così spesso gli uni contro gli altri. Non dobbiamo necessariamente unirci di nuovo, ma collaborando possiamo almeno alleviare le tensioni.
Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto “Work4Future” cofinanziato dall’Unione europea (UE). L’Ue non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto. La responsabilità sui contenuti è unicamente di OBC Transeuropa. Vai alla pagina “Work4Future“
Nicole Corritore e Davide Sighele
Fonte: Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa – 23/10/2023